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Se stai per metterti a leggere, evita.
Tra una decina di righe vorrai essere da un’altra parte.
Perciò lascia perdere, vattene, sparisci finchè sei intero.
Bianco.
Se fossi un colore sarei bianco.
Avrei dovuto lasciare bianco anche questo spazio. Per tanti motivi.
Perchè a volte l’arte è un lavoro di sottrazione. E anche saper coltivare il silenzio è un’arte.
Perché scrivere è (anche) il mio mestiere e lo detesto.
Perché quello con le parole è sempre stato un odi et amo.
Perché odio scrivere, soprattutto di me. Faccio fatica e c’è sempre qualcosa che resta lì, sospesa a mezz’aria come una spada di Damocle, pronta a tagliarti in due. C’è sempre qualcosa di incompiuto, di non detto. A volte una singola parola può ospitare fantasmi che credevi lontanissimi. Avete presente quel dipinto sinistro del Tiziano? “La punizione di Marsia” dove lui viene scorticato vivo. Beh scrivere di sé a volte fa cosi male da scorticarti l’anima.
Eppure vado pazza per le parole.
Tu vai pazza per le parole, vero? Vero che vai pazza per le parole?
Mi dai l’idea di essere una che va pazza per le parole.
Nel senso che le prendi terribilmente sul serio, tipo come se fossero un bisturi o una motosega che rischia di tagliarti con la stessa facilità con cui taglia gli alberi.
(David Foster Wallace)
Avrei dovuto lasciare in bianco. Per tanti motivi.
Tra cui una storia noiosissima di cui parleremo in una prossima puntata.
O forse mai.
Chi sono?
Sono una strana.
Mi piacciono le bellezze irregolari e sghembe. Come certe sonate di Brahms che a guardarle da lontano potrebbero sembrarti sbagliate. E invece sono bellissime proprio così, sbagliate. O come le canzoni degli Strokes che partono benissimo e poi finiscono in caciara. Amo le persone che si pongono domande. Quelle che non si accontentano di una sola risposta. Quelle che sanno mettere in discussione convinzioni e convenzioni. Quelle che sanno guardare oltre il proprio naso. Quelle che non giudicano le cose attraverso sistemi binari, si o no, buono o cattivo. Non pensano in maniera sommaria e manicheistica. Quelle che non si lasciano tenere al guinzaglio da un’idea, ma la mettono alla prova (viva Popper). Quelle che si interessano ai dettagli. Mi viene il sangue alla testa quando la gente si disinteressa ai dettagli. Quelle complesse, libere, folli. Mi ritroverò sempre con questa minoranza di persone (come diceva Moretti quando era simpatico).
Le uniche persone per me sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per le parole, pazzi da salvare, desiderosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che non sbadigliano mai o dicono luoghi comuni, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio color giallo esplodendo come ragni attraverso le stelle.
(Jack Kerouac)
Sono un ossimoro vivente e sono affascinata dai contrasti, nelle cose, nelle persone, nel sesso.
Posso piangere davanti a un film quasi muto come “In the mood for love” e un minuto dopo tornare bambina guardando per la millesima volta Mary Poppins. Amo i contrasti, l’ho già detto. E allora scopami selvaggiamente il culo e poi rallenta…e baciami con dolcezza. E sarò tua. E poi regalami dei cioccolatini, perché nessuno li regala più. Mi piace il cioccolato al latte. Non venitemi a dire che quello “vero” è solo il fondente al 99%. Ci ho provato a sedermi dalla parte dei giusti. Ma vi lascio il Regno dei cieli. Brucerò all’inferno ma voglio morire tra i grassi saturi. Al massimo il fondente spalmato sulle tette.
Un tempo sono stata una ballerina. Lo so, lo so che ora vi si è attivato il cervello rettiliano e mi state immaginando roteare appesa a un lampadario per poi approdare in spaccata su un fallo gigante. Non accadrà.
Sono innamorata della cultura orientale. Nyomi è un omaggio a questo, non il nome di una pornostar. Amo il cinema. E ovviamente il cinema orientale con la sua poetica spietata e delicata. Tra i mie registi preferiti WongKar Wai e Kim Ki Duk. E poi Tarantino, Scorsese, Lynch, Hitchcock, Allen, Lars Von Trier.
Il mio sport preferito si chiama Amazon. Compro libri come se non ci fosse un domani e ho un’antibiblioteca, come la chiamava Eco, con tutti quelli non letti che prima o poi si ammutineranno.
Ho un passato molto doloroso. E non si tratta solo dell’infanzia. Certi fantasmi non svaniscono come la rugiada del mattino. Ma è dalle crepe dell’animo che filtra la luce. I giapponesi (sempre loro) fanno questa cosa bellissima di riparare i vasi di ceramica con oro liquido. La chiamano Kintusgi questa pratica. Sono convinti che dalle imperfezioni e dalle ferite può nascere un capolavoro unico e irripetibile.
Sono matti col botto i giapponesi. E io con loro.
È meraviglioso come la loro lingua dimostri un “modo di sentire” diverso dal nostro. Un dare peso specifico a “cose” che noi non riusciremmo neppure a vedere.
In fondo si tratta solo di sapere guardare davvero.
Per esempio c’è un’altra parola giapponese che amo: komorebi. Significa “la luce che filtra attraverso le foglie degli alberi”. Ecco mi piacerebbe che qualcuno potesse dirmi chi sono con la stessa precisione. Qualcuno che mi dicesse tu sei quella luce li, quella che filtra attraverso le foglie degli alberi.
Qualcuno che non fosse approssimativo.
In un’altra vita in questo preciso momento mi sono trasferita a Parigi, ho due gatti su una poltroncina retrò, un vecchio giradischi scovato in un mercatino e del basilico (morto) sul balcone. Sto suonando il pianoforte come se fossi Liszt e scrivo come De Lillo, Palahniuk o Roth. Vado a una mostra di Henri Cartier-Bresson e poi mi siedo in un caffè vestita da perfetta “francese sporcacciona” con un abitino svolazzante senza mutandine o magari la lingerie Agent Provocateur e quel je ne sais quoi tipico delle parigine, quell’aria trasandata, i capelli finto scombinati, la faccia acqua e sapone e il rossetto rubino.
Femminili e sfrontate.
Oppure ho deciso di assecondare fino al midollo il mio spirito vagabondo da wanderlust, ho fittato un camper, ho messo su “Society” di Eddie Vedder e la sua stupenda soundtrack di Into the wild e sono in giro per il mondo.
Chi sono?
Sono una strana.
Non ho ancora la presunzione di dirmi approdata a una versione definitiva di me stessa. Sono in divenire e va benissimo così.
Sono poliedrica, multipotenziale, affamata. Mi piacciono le strade poco battute, le periferie delle cose. Ho questa malattia della curiositas mundi.
Odio i matrimoni. Non ho mai avuto il sogno di essere una principessa né una sposa. Anche se continua a piacermi il colore rosa. Amavo le storie di magia e avventure, da piccola. Detesto le convenzioni. La vita non è una fottutissima check-list con le caselle da riempire perché “così va il mondo”. La mia vita me la creo, non intendo subirla.
Mi piace la solitudine. Potreste incontrarmi al cinema da sola qualche volta. Pascal diceva che tutta l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua incapacità di starsene in una stanza da solo. E mi sono sempre chiesta perché molti si affannino per evitarla quella stanza. Forse il mondo sarebbe un posto più interessante se le persone imparassero a starsene da sole qualche volta.
La mia perversione più grande sono le emozioni. Alcune le tengo ancora strette tra le ciglia. Tipo quello stupore sulla faccia quando tuo padre ti insegna ad andare in bicicletta e all’improvviso lascia il sellino…e tu sorridi perché stai andando da sola.
Mi eccitano gli occhi. Mi sono persa in uno sguardo voluttuoso con uno sconosciuto su un treno. Che avrei voluto durasse una vita.
Non sono religiosa ma sono certa che dio, se esiste, è una donna e ha la voce di Joni Mitchell. Mi piace la pioggia che ti sorprende dopo un concerto. Mi piacciono le piccole cose. Mi piace l’umorismo. Qualcuno diceva che se hai il senso dell’umorismo non ti prendi sul serio e allora non puoi essere cattivo, né stupido né volgare. Capisco le persone dopo tre minuti che ci parlo e non mi piace, vorrei essere smentita, qualche volta.
Se fossi un colore sarei bianco.
Ho cercato di spiegarlo in questa pagina che doveva restare bianca. Paradossale.
Non lo so se ci sono riuscita. Il bianco è associato alla purezza, all’innocenza. Ma a anche alla paura. È un colore che contiene contrasti e moltitudini. Può essere tutto. Ha in sé il ruggito di tutti i colori ma senza sbraitare. Senza il bisogno di farsi notare a tutti i costi.
Silenzioso, defilato, tormentato.
Ferocemente fragile.
Vi avevo avvisati di non mettervi a leggere.
n.b. C’era una citazione nelle prime tre righe di questa pagina. Vediamo se la scovate. Non vale googlare come fanno gli ignoranti, ovvero chi ignora ;)
La mia posizione preferita?
Sul divano con Netflix ;)
Non mi sono mai piaciute le etichette. La mia personalità è troppo sfaccettata per essere ingabbiata in una categoria, un codice, una banale nomenclatura.
Mi sono spesso definita sapiosessuale. Ma il concetto è diventato talmente ecumenico e mainstream da fare invidia - che so - a Hello Kitty e agli unicorni, che ormai spopolano anche sulla carta igienica.
Voglio essere al di fuori delle etichette. Non voglio che tutta la mia vita sia compressa in un unica parola. Una storia. Voglio trovare qualcos'altro, che non si possa conoscere, un posto che non sia sulla mappa. Una vera avventura.
(Palahniuk)
L’attrazione sessuale rimane per me una questione di connessione mentale. La sintonia, l’affinità elettiva, uno scambio dialettico brillante, giocoso, malizioso, ironico sono cose che mi mandano in estasi. Le menti si scopano e i corpi si parlano. E viceversa.
Per me le dimensioni che contano in un uomo sono solo quelle della sua libreria ;)
(è d’obbligo la faccina o si scambia l’ironia per snobismo).
Schiava o padrona? Domanda molto gettonata su questa chat. Il rapporto slave/master è un rapporto di interdipendenza.
A guardare bene non c’è differenza.
C’è osmosi.
Nel gergo tecnico del bdsm sarei una switch, che brutta parola. Anche se la bilancia, lo confesso, pende particolarmente da una parte.
Tutto dipende dalle situazioni, dalla persona e dalle alchimie che nascono.
“La gente vive male la propria sessualità. La vera perversione è la routine, l'abbrutimento nel lavoro quotidiano. La pornografia invece esalta il lato oscuro del desiderio. Il sesso è anche nero, contorto, corrosivo; non è sempre una cosa solare, gioiosa. A me piace l'oscenità; mi annoia invece la volgarità, che è cattivo gusto e basta. L'osceno è "il" sublime.
Devo ammettere che ho conosciuto poche persone veramente oscene. [...] È difficile trovare una persona capace di oscenità, è una cosa veramente speciale.”
(Moana Pozzi)
Si direbbe che il tuo sguardo è coperto di vapori
Il tuo occhio misterioso (azzurro, grigio o verde?)
Ora tenero ora sognante ora crudele
Riflette l’indolenza e il pallore del cielo.
(Les Fleurs du mal, Baudelaire)
Crediti
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